A braccia aperte
a Ninetto ed Arturo
“amicizia è poter contare su un’ altra parte di sé”
l’autore
Caro Tornello, ho letto le tue poesie con un misto di curiosità e di apprensione, sperando di trovare tutte di buona caratura (ce ne sono diverse che specchiano, a mio parere, una bella luce di dolore) e già accettando, se non di “presentare”, di essere al tuo fianco come anziano nei pruni, i pruni come versi, l’età non più verde come un territorio comune, nel quale essere scampati ci impone una parità, annulla le gerarchie di valori, vanifica le ragioni dei “gusti”.
Una cosa è certa che tu, poco o tanto, nella pittura come nella vita, nella musica come nella poesia, sei capitato non come un estraneo, un vanitoso, ma hai fatto dei tuoi doni niente altro che amore. Potrei conoscerti ancora meno, mi sentirei al tuo fianco anche e soltanto per questo: di esistere, quasi, nell’ultima spiaggia, tanto più che le tue poesie le ho letto alla Stella Polare, un quartiere di Ostia dove sono randagi e passeri, foglie di platano che coprono a tappeto i violoni deserti e dove, talvolta, ho ricevuto, da quando? venti, trent’anni? i biglietti d’augurio per l’anno nuovo, da Tornello pittore al critico d’arte. Biglietti cui mandavo risposte cortesi in attesa che arrivasse, come è arrivata, questa parità, anche se io ho qualche anno più di te.
La cara Gabriella Sobrino che è una poetessa per davvero e sa di poesia dall’a alla z, ebbe modo nel 1974 di fare un discorso adeguato su di te, in un ambiente come la libreria Croce, assai qualificato; io sono uno stanchissimo viaggiatore in arte, se poesia pratico ciò mi accade per una personale emergenza, non mi attento in mare aperto specie sui poeti del tuo tipo. D’altra parte il fatto che tu non abbia pensato a me come critico d’arte, mi ha commosso: sotto un certo aspetto la tua richiesta che io ti leggessi come poeta mi ha conferito maggiore umanità, nella sorte comune che dicevo.
Intanto mi piace, nelle tua trenta poesie, la chiarezza, anche se talvolta un po’scoperta, quel modo di avere amato tutto e tutti, che abbiamo imparato da Whitman come appar chiaro nella bella, corale, lirica “Supplica all’uomo”; poi, laddove il tuo canto o discorso poetico è più misterioso come per es. “Quest’uomo”, il tuo messaggio prende, non starò a citare i versi, che sono tutti segnati a punta secca, carezze d’ortica.
E, così, non c’è Pascoli, né Saba, ma Tornello, nel “L’azzurro dell’infanzia”. E che dire di quel frammento di scultura perduta che tu fingi di aver ritrovato: “Il dito degli dei”?
Ho letto e riletto di quell’addio-preghiera-nostalgia, di quel colloquio che s’intitola: “Ed ora che le ombre”, e, davvero, siamo ancora più in parità se con te dico: “…lascia che io mi perda ancora/sulle tue parole non pronunciate/sul tuo collo di cerbiatta ignara/sulla tua immagine rara/suoi tuoi silenzi/e sul cielo rigato dal tuo sorriso”.
Come le poesie tue “aprono” con una preghiera, chiudono quasi con un’altra, anch’essa corale, in cui mostri ancora una volta di aver voluto bene a tutto e a tutti: “Le mani parlano”; una poesia da antologia.
A chi dice che l’amore, e non soltanto l’amore di Dio e per l’umanità, ma l’amore di Petrarca e Leopardi sia musica per orecchie giovani, legga insieme a Tornello “Parlerò di te”, dove i versi escono fuori profumati come un vecchio vino.
Come vedi, queste righe affettuose non hanno pretesa alcuna di “presentarti”, ma solo di difenderci nella nostra sopravvivenza, nel nostro vivere ed essere vissuti, ancora dentro le vesti delle stagioni, ancora col nostro respiro, “nella sofferenza dell’attesa/nelle parole pronunciate e spente/a fil di labbra/nella palude delle idee/dove ritrovare se stessi/è come avere un poker tra le mani”.
Ostia, novembre 1991
Marcello Venturoli
Supplica all’uomo
Uomo, ricorda le parole:
“Ti affido questa terra
e tu ne sei figlio.
Sii degno di questa madre
che ti nutrirà”.
Tu sai, dunque,
che ciò che vedono i tuoi occhi
ti è fratello:
l’acqua ch’è la nostra linfa,
il suo mormorio ch’è la nostra voce,
l’ago lucente di pino,
il ronzio d’insetto,
il chiacchierio di rana,
il fremito di foglia che danza,
il fulgore di un giorno di sole,
il mare in burrasca…
e chi non ama questa madre è, dunque,
come straniero che si lasci alle spalle
la tomba del padre senza turbamento.
Se le piovre di cemento estenderanno altri tentacoli
avremo perduto per sempre i luoghi tranquilli
dove udire le gemme schiudersi.
Che uomini saremo mai
se non udiremo più
il grido solitario di rapace
ed il suono del vento resinoso?
Tutto è connesso nella sacralità terrena.
La terra ci è madre.
Nuocere ad essa è nuocere al Creatore.
Svegliati uomo,
il tuo torpore segnerà la tua fine
e non ti accorgerai nemmeno
se tornerà Gesù.
1984
Il dito degli dei
Troppi addii ho dato
a mani protese,
troppi pensieri ho regalato
a mente piena;
è tempo
che questa fuga dall’uomo
plachi il delirio degli incerti
suggerendo idee di cristallo.
La mano del destino
si chiuderà
in fondo al libro delle regole
firmando una vita banale.
Scenderò verso il mio mare
sorridendo alle montagne
per ricevere l’impronta
del dito degli dei.
1984
Scenderò al Sul
Scenderò al Sul
respirando vento come aquilone.
Rivirò i giorni lieti,
fragili cristalli della memoria.
Scaverò nella cenere dei ricordi
le voci concitate degli amici.
Chiamerò il ragazzo dell’aquilone
perduto nel bicchiere della piazza.
Cercherò me stesso
suggendo umori di perdute stagioni.
Troverò nel tempo immobile dell’abbandono
l’eredità di silenzi antichi.
Guarderò lontano
dove il bue disegnava la montagna.
Parlerò con i vecchi al sole
per ritrovare le mie radici.
1984
Parlerò di te
Parlerò di te
che mi riconosci il passo
sui mattoni di cotto,
di te che rubi sulla mia pelle
pensieri rappresi, sospesi tra due cieli;
di te, dei tuoi spenti desideri
ormai chiusi in arcani pensieri.
Di te che ho voglia di dire
e di sentire curiosità sopite,
di te che mi sfuggi
come un sabato che se ne va.
Parlami, perché io varchi la tua soglia
sotto l’ibisco che accende lanterne rosa
tra giardini a mare.
Stringi tra le tue dita
di cristallo d’arte
queste mani che ti dicono
quale luogo profondo
hanno scavato tra le mie carni.
E tutto si perde
nella sofferenza dell’attesa,
nelle parole pronunciate e spente
a fil di labbra,
nella palude delle idee
dove ritrovare se stessi
è come avere un poker tra le mani.
1984
Ho voglia di…
Ho voglia di fermarmi nella tua rete
mentre leggera corri suoi miei sogni;
ho voglia di rivedere quei luoghi
dove niente è visto con gli occhi;
ho voglia di vagire tra muschi di roccia
attraversando il tempo.
Ho voglia dei tuoi “se” e “perché”,
dei tuoi “quando”, “dove” e “a che ora”;
ho voglia di sentirli ancora,
d’immergermi senza fiato in essi
in lucido delirio di sensi.
Ho bisogno di una festa dell’anima.
1985
Caro amico
per Franco
Ho letto il tuo urlo senza voce
e m’è caduto il cuore.
Mi dici che i morti in riposo,
sospesi tra due cieli bruciano
sullo scoglio vestito di sole.
Non saprò più immaginare
sulla cenere di ciò che fu.
Siamo inermi nel delirio
di chi non sa amare
ciò che l’alba del tempo
ha inciso per l’uomo.
1985
Oltre il tempo
Oltre il tempo,
negli abissi dell’anima,
torna a levitarmi l’addio furtivo
dei tuoi occhi senza voce;
la felicità infranta come vento
è tutto ciò che è vero adesso.
Mi suggerisce idee trascorse
nel mare nelle mie illusioni,
ma mi basta una certa canzone per rivederti.
1985
Il “fratello”
Come vento che lontano muore
passò la voce del “fratello”
tra i cipressi in sentinella
su declivi di donna distesa.
E’ dolce l’Umbria di Francesco
dove il rintocco dell’emozione
si lascia dietro echi perduti
di parole dette col cuore.
Il “fratello” ha chiamato
i dispersi della fede e gli incerti,
oggi raduna i puri,
s’accosta al lupo della protervia;
la modestia del ruscello
è, oggi, pacifico fiume.
Esplosero le stelle per le sue parole;
tutti vollero ascoltarlo,
molti vollero seguirlo
nella sinfonia delle stagioni terrene e divine.
Nel delirio di una vita
spesa per il Verbo
la sua parola resta
polla d’acqua sorgente;
sorride alle montagne
e a tutto ciò che fu il grande dono.
1985
Memorie
Prima che un altro sabato
mi riporti nel solco della memoria
fino ai laghi bianchi del tuo silenzio
e prima che un’altra alba
stampi suoi tuoi occhi memorie passate,
ti chiederò con un sospiro d’anima
d’essere sfiorato
dal paradiso della tua voce.
Sarà forse autunno
ed il grecale improvviso che s’alzerà
vestirà d’incanto tutto ciò che sarà nostro.
1985
Ed ora che le ombre
Ed ora che le ombre
tagliano netti profili di cime accese
tra tentacoli di stoppie sulle colline;
ed ora che la matassa della memoria
dipana funi aggrovigliate,
eccoti dinanzi a dirmi le tue certezze.
Dimmi addio, se vuoi,
tanto resterai intatta sulla mia pelle,
ma se vorrai che le remote memorie
cancellino l’alito d’estasi che ci sfiorò,
lascia ch’io mi perda ancora
sulle tue parole non pronunciate,
sul tuo collo di cerbiatta ignara,
sulla tua immagine rara,
sui tuoi silenzi
e sul cielo rigato dal tuo sorriso.
1986
Quest’uomo
Chi è quest’uomo
che se ti dice: canta,
tu rinnovi un sorriso
e guardi il cielo?
Chi sarà mai quest’uomo
che se t’invita a guardare la luna
tu tremi come l’erba del campo?
I giorni vuoti
che t’incidono l’anima
ripetono il passato
a chi non ha ricordi,
restano sospesi a divagar nella memoria
sul ponte del cielo.
Un ricordo, un brivido
ed il paese inatteso che sei tu
rompe il filo dell’orizzonte
di questa città senza mare.
Troveremo il tempo per odorare un fiore?
1986
Guardiamo la luna
E’ rosario di pensieri
quanto si avventura nella mente,
se supino sulla ghiaia
miri l’astro verde.
Ogni sogno non ricordato
giunge a levitarti intorno silente
come bosco senza uccelli
ed infiniti sono i giorni
che sfilano come perle;
scavano, come goccia, nel passato
a riporre negli angoli della memoria
gli inquietanti segreti.
Il respiro della terra
t’incide l’anima
e questa lunga infermità ch’è la vita
lascia oscillare il pendolo del tempo.
Torneremo da dove sei venuta
ed insieme usciremo più spesso
a guardare la luna.
1986
L’autunno dei tuoi occhi
Sarà l’autunno dei tuoi occhi
a dirmi senza parole
come marcisce il lago inquieto dei tuoi pensieri.
E’ melodia il solco del passato;
come sospiro d’anima che irrompe
simile ad un triste lunedì
vorrò scordare il tuo nome
e sputare al vento le frasi che ti ho donato.
Mi ascolterò
e sarà come fuggire dal presente
per tornare a spargere aceto sul miele.
1986
Dopo il silenzio
Dopo il silenzio,
quando torneranno i cani della tristezza
a mordermi l’anima
ed i frammenti della memoria
s’alzeranno come levrieri di fumo
ad esplorare il bosco della mente,
ti dirò con l’ultimo fiato del giorno
quanto vorrei riascoltare
la tua voce di cristallo
come respiro del passato
e il tuo passo breve, indolente,
di chi vuol consumare la sua ombra;
e tu che non ami più le lunghe estati
e credi che il mare sia soltanto acqua,
preferisci, oggi, attraversare i campi dell’anima
insanguinati dai papaveri.
I danni del tempo
stamperanno presto sul vetro del cielo
schegge folli di immagini liete
a rovistare nelle grigie rovine
della nostra memoria.
1988
T’aspetterò a Venezia
Se verrai ad occhi aperti
nel bosco delle mie idee,
tra i rovi dei miei affanni,
ritroverai brani del nostro tempo
tra echi senza fine.
Non toccherò più il tuo cuore
e resterò come barca senza scia
in brandelli di mare
dove annega l’anima.
T’aspetterò a Venezia
nel vivido silenzio che parla,
dove alitano soltanto sospiri d’anima,
dove il tempo è fermo lì
e vaga tra solchi di merletti di marmo.
Se verrai,
chiuderemo il nostro libro di promesse
nella malinconia di un crepuscolo
e saremo soltanto di noi.
1989
Odore d’inverno
E l’odore d’inverno
irrompe improvviso
sui pallidi ulivi.
Un ultimo sciame,
un fischio di treno lontano
e Novembre s’innalza mesto
e rivestire sogni sospesi.
Dirò addio a qualcuno
per spezzare questo silenzio
che mi cresce dentro
e guarderò dentro la favola interiore
che mi scava l’anima.
Un fiato di vento resinoso,
un respiro dopo l’altro
ed un brivido di cielo
copriranno ogni luogo della memoria.
1989
Un libro ritrovato
Un libro ritrovato,
una dedica
ed il tempo ferma i suoi giorni.
Riappare un sorriso,
un fremito d’occhi
un’ansia malcelata
ed io che scavo dentro di me
per rivederti,
sommo i respiri del mio tempo.
Nella nebbia dei sensi
mi perdo a rincorrenti
fino a campi neri del silenzio
e lì m’arresto, di sasso, senza memoria.
1989
Quest’autunno
E’ un nido di memorie
quest’autunno che mi esplora l’anima
come falco sulle rovine.
Vaga trepido sulle ombre dei miei errori
a consumar schegge di pensieri
vaganti sul davanzale della mente.
Sarò forse atteso
alla periferia del cielo
a guardare ciò che mi resta da vedere
e, al confine del presente,
i giorni di cristallo
accenderanno ghirlande di luce.
Nella sera cirenea,
tra silenzi di colline
sentirò crescere la radice delle mie pene.
1989
Sul mantello della notte
E adesso che le ombre dell’autunno
s’addensano cupe sulle tamerici
e l’anima gela al ricordo
di giorni luminosi,
bevo questo silenzio d’abisso.
Nulla è dimenticato in confessione
tra i territori segreti dello spirito.
Questo è un paese senz’alba
e senza tramonto;
è il mio paese dell’anima
con i suoi silenzi senza memoria.
Sul mantello della notte
sale lo stormire dei miei pensieri
e resto crudo come uomo che non sogna.
1989
Non credo
Non credo più a questo amore che mi tarla i sensi
e mi morde l’anima;
non credo più
alle vane promesse
ed a te che dici: aspettami.
Quella parte di cielo
che mi dissetava l’anima,
oggi trascolora come ombra
prima del temporale
a significare nuove realtà
e l’aria celeste che vestivi
marcisce in te come lago morto.
Con un filo di fantasia
alzerò gli occhi alle colline
per ascoltare il tramonto del sole
mentre la luna imbiancherà la notte.
1989
Questa valle dell’anima
All’incrocio dei venti
di questa vallata carica d’ombre
dove un paese senza storia
limita memorie sepolte
di gente ormai vaga nel ricordo,
accendo, nel buio di questo giorno di sole,
frasi a noi note per rivederti.
E così m’appari,
tra ghirlande d’ironia
a scuotere il bosco fossile delle mie idee
e rimestare nevi e deserti
della memoria in lotta con l’oblio.
Ma, infine tu svanisci
come ombra prima della pioggia
su questa valle dell’anima
come luna che si bagni in mare.
1990
Cervara, pietra di luna
E’ canto di memoria
il bacio di sole sulle tue pietre antiche
dove Diana dall’urlo feroce
ansima ancora sulla foresta immobile.
A conforto dell’anima,
come faro tra i dirupi,
solitaria t’innalzi a sentinella
delle tue memorie.
Cervara, pietra di luna incisa,
carezza di cielo stregato
per l’uomo che sosta
sotto il tuo pergolato di stelle;
fermerai ancora l’infinito negli occhi sorpresi
di chi, abbracciandoti,
spazierà sguardi assorti
sulla valle smaltata di verde.
1990
Dall’altra parte del cielo
Quante candele avrei d’accendere
se guardassi con la memoria
ciò che ho dimenticato.
Nel lago inqueto dell’inconscio
ogni sogno non ricordato
è come lettera a me indirizzata
che non ho mai letto.
Il tempo dell’anima
non disseta più,
esplora soltanto solitudine
come scarti di vecchio teatro.
Dall’altra parte del cielo
la mia ombra non ha più colore,
smemora il tempo,
trasfigura l’archiviato
e morde l’anima
come acido sul rame.
1990
Sogno come lettera
Io so ciò che ti canta dentro
e ti tocca il cuore;
è il riverbero delle città del cielo,
la voce profonda del mare,
il torrente di luce
sulla cenere del tramonto.
E’ tempo di seppellire memorie
nei giardini segreti,
intrecciare radici di pensieri
ed immergersi nel lago del dolore.
Ogni sogno che viene a trovarti
è una lettera archiviata nel cuore
che, sull’itinerario della memoria,
sfoglia ricordi sopiti.
Chi ha paura del sogno
resterà prono con le spalle al cielo
a marcire nel lago dell’abitudine
e non noterà, certo, tremare
il germoglio sul melo.
1991
E c’è chi vola
E c’è chi vola
tra lo spirar della sera
ed il mattino che s’alza.
E’ il mio profeta ebbro,
dal falso sorriso
che canta la carie del vivere
e si placa col suono del mare.
Come lapide che aspetta un nome
intreccia le nostre radici
sul calendario del tempo.
Sfumano foschie di memorie,
tra soffi di notti stregate,
ed io mi chiedo ancora che sei tu,
rara immagine del dolore.
Cadono sullo specchio del cielo
note profonde d’ignoto
e tu resti là
dove qualcuno canta.
1991
Le mani parlano
Quante mani ha quest’uomo?
Tu dici due ed io dico cento.
Eccoti la mano di madre serena
sul viso del figlio,
tenera come quella che coglie un giglio,
quella che pianta un seme per un fiore che verrà
e quella che saluta una vita che se ne va.
Quella grande di padre felice che regge un bimbo,
quella forte sui ceppi, contadina,
quella fredda, inesorabile, assassina,
quella fremente di donna innamorata,
quella tremula di madre straziata
sul corpo del figlio ucciso,
quella che soccorre ed implora un attimo di vita,
quella tenera di bimbo che cerca la tua,
quella benedetta che ti ha salvato.
Quante mani!
Bianche, nere, che lavorano,
che oziano, inerti, in grembo,
che chiedono carità,
che accarezzano un tiepido seno,
che firmano dure sentenze,
che creano dal nulla,
che portano alla vita un bimbo all’alba.
C’è quella di poeta che indica un fiume nel cielo,
quelle aperte dell’amico generoso
accanto a quelle serrate del tristo avido
ed, ancora, quella che segna un mare levigato
nel pallore di un mattino
mentre c’è quella esitante che rivela un tesoro
insieme a quella di un addio per un amore sfiorito.
L’espressiva dell’attore
e quella iraconda che freme di furore.
Ognuna parla, ma tante ancora ve ne sono
in questa lista infinita.
C’è quella misteriosa dei muti
insieme a quella che scrive: addio alla vita.
Ma accanto ad essa ti ricordo
quella miracolosa di Cristo
sui lumi spenti del mendico,
mentre ti ricordo, infine,
quella che scrive al muro:
“Pace, amore e libertà”.
1991
“Miserere” per un amico
per Albano
E così, con eco segreta,
canto il “Miserere”
per te che ti allontani
sulla collina del silenzio.
Resta per noi
il giardino sommerso delle tue idee
tra l’ingiuria del tempo
che corrode il marmo degli anni.
I sentieri della mente
frugano labirinti di memoria
e la tua nobiltà celata
rivive in un sorriso ormai spento,
mentre, per esso,
mi fiorisce, al ricordo, il melo sulla porta.
1992
Via Celso, 30
Di questo quartiere senz’anima
non rimane che un campo di silenzio ottuso
e questa via senza vita
ch’è un deserto d’attraversare
libera per me
le colombe dell’infanzia,
tra voli e voci di colori sussurrati,
per strappare un segreto al cielo.
Un raro passante,
come nota isolata di spartito,
spezza l’incanto delle memorie sepolte
dinanzi a questa casa che muore
ed io, al confine di una città che urla,
ascolto muto il respiro delle mie angosce
da queste pietre archiviate nell’anima.
1992
Gli agnelli hanno smesso di gridare
Gli agnelli hanno smesso di gridare,
tacciono gli occhi mesti
sulle mani macchiate;
l’aprile della pace
ha rincorso il vento dell’ira
lanciando vani sassi alle stelle.
Il tempo ha perduto i suoi confini
e, come giardino senza vita,
spegne i desideri dei fratelli.
Chi sa leggere nel cielo
si specchia ancora in esso
sperando di recidere i fili dell’odio
e cancellare sguardi offesi.
Cacceremo i corvi dalla collina
per chiamare il sole su di noi
e tornare all’innocenza
delle prime ore di vita.
1993
Raccontami il mare
per Carmelo
Raccontami il mare
che smalta gli azzurri festosi
e batte testardo lo scoglio.
Raccontami il mare
come luogo d’infinita memoria
dove l’orma di Dio
sale come esile preghiera.
Nel bacio del sole che se ne va
sconfino in vaghi pensieri
mentre batte l’ala del tempo
di questo nostro vivere.
Leggerò sul tuo viso
traccia d’ombra di gabbiano che s’invola
mentre il passato mi si farà presente.
Raccontami il mare disteso e levigato
come frammento di eternità,
come giardino colmo di doni,
come specchio di paradiso,
come silenzio di battaglia dipinta.
1993